Gemma Cecchi

Gemma Cecchi nei Ragoni

(27.11.1916 Livorno - 22.6.1987 Fornacette)

Biografia

Gemma Cecchi nacque a Livorno il 27 novembre 1916 da Massimo e Nella Fucini, entrambi nati nel 1887 e sposatisi nel novembre 1914. Finita la guerra ’15-’18, che aveva visto il padre militarmente impegnato presso il Comando della Brigata Forlì, la famiglia di Gemma crebbe con la nascita della sorella Marcella nel 1920 e del fratello Vittorio nel 1923.

Dopo la scuola elementare, il padre l’avviò agli studi commerciali consoni alle necessità della ditta di spedizioni nella quale era subentrato, primogenito di cinque fratelli, alla morte del padre avvenuta nel 1913. La piccola Gemma visse un’infanzia agiata e serena, circondata dall’amore dei genitori, della nonna paterna Eugenia Picchiotti e dei giovani zii Cecchi.

Nel 1929, dopo una lunga malattia, il padre morì e Gemma, a lui molto legata, ne risentì emotivamente. Allora tredicenne, espresse il desiderio di diventare insegnante e cambiò l’indirizzo dei suoi studi. All’Istituto Magistrale di San Miniato al Tedesco, in provincia di Pisa, conseguì il diploma di abilitazione all’insegnamento elementare nel 1934, quando non aveva ancora compiuto 18 anni.

Gli anni scolastici dal 1930 al 1934 sono documentati da numerose foto relative alla sua vita di collegiale al Conservatorio S. Chiara, attiguo all’Istituto Magistrale, che aveva sede in un antico Convento di monache clarisse risalente al XIII secolo. Nell’archivio del Conservatorio abbiamo fotografato una distinta di pagamento della retta da parte della famiglia Cecchi tramite la Ditta di spedizioni a Livorno.

Nel frattempo, i fratelli minori con la madre vedova, si trasferirono a Limite sull’Arno suo paese di origine e dove Gemma tornava in famiglia per le maggiori festività e le vacanze estive.

Appena diplomata, l’insegnamento fu per lei il modo più congeniale e piacevole per rendersi autonoma economicamente. All’inizio esercitò in convitti privati tenuti da suore e d’estate faceva la maestra vigilatrice alla colonia montana di Valnegra dove trascorrevano turni di vacanza i figli dei ferrovieri.

Dall’ottobre 1937 Gemma insegnò nelle scuole statali, continuando a vigilare d’estate nella colonia fino al ’39. Nel suo album ci sono le foto che riprendono squadre di balilla, figli della lupa e piccole italiane all’alzabandiera, oltre lo staff direzionale di cui faceva parte. Dal primo ottobre 1939 divenne maestra della scuola rurale di San Vivaldo e il 15 gennaio 1940 vi prese la residenza che mantenne fino al 1946.

Nell’estate del 2020 un suo alunno di allora, Giampiero Nardi nato nel 1930 e che ha sempre abitato in paese, ricordava ancora benissimo la maestra Gemma, la scuola nelle stanze della fattoria Ogna: prima in quelle attigue al mulino e dopo in quelle al piano terra della palazzina vicino alla tabaccaia, abitata dal sottofattore, con le stanze, camera e cucina, destinate ad alloggio per la maestra.

Essendo l’unica insegnante, teneva tutte le classi della scuola, dalla prima alla quarta. Di quegli anni rimangono le foto con anche più di 30 alunni .

A quelli che volevano fare la quinta, che non era allora obbligatoria, e conseguire la licenza, la maestra Gemma faceva scuola serale alternando la sua presenza presso le famiglie dell’uno o dell’altro alunno, presentando poi i suoi studenti agli esami nella scuola di Montaione. Giampiero ricorda di esserci andato a piedi e il risultato: tutti promossi!

Negli anni della guerra, quando le scuole superiori erano chiuse, si offriva di seguire gli studenti del luogo affinché non rimanessero indietro e potessero tornare a frequentare con profitto le scuole di Empoli e Castelfiorentino, non appena avessero riaperto. Italiano, latino, storia e letteratura, erano le sue materie preferite, e ai suoi allievi infondeva il piacere della lettura. Li incoraggiava a raccontare la vita semplice e operosa delle loro famiglie, a descrivere ambienti e personaggi, a scrivere lettere e poesie in rima.

Il diario che tenne nel luglio del ’44 dimostra come in cinque anni dal suo arrivo, Gemma si fosse inserita nella comunità, conoscesse per nome e soprannome gli abitanti, dalle figure più in vista e influenti, alle più semplici.

Finita la guerra, un anno dopo i fatti narrati nel suo diario, arrivò a San Vivaldo Alberto Ragoni, artigiano delle calzature su misura, conobbe la maestra Gemma e tornò a trovarla finché si fidanzarono per sposarsi a Limite sull’Arno, a fine anno scolastico, il 18 luglio 1946, dopo le dovute presentazioni alle rispettive famiglie. Alberto aveva 14 anni più di lei, educato e di modi gentili, rispettoso delle leggi civili, era cresciuto con i valori religiosi, ed era corista del Duomo di Pontedera insieme ai fratelli. Gemma aveva capito che con lui poteva farsi una famiglia sua e continuare ad insegnare.

Il matrimonio e il suo trasferimento in provincia di Pisa, portarono la signora Gemma a Pontedera, in via Primo maggio 53 nella grande casa dove abitavano anche i due fratelli di Alberto con loro mogli e figli, nei fondi al piano terra si trovava la fabbrica di calzature. La scuola elementare di Capannoli fu la prima sede di servizio in provincia di Pisa, seguita poi da quella di Fornacette e Ponsacco. Nel giugno del ’47 nacque la prima figlia Lucia e con lei si trasferirono in via Roma nel ’49 dove Alberto acquistò casa al n. 7 e bottega al n. 45 separando la sua attività di artigiano da quella dei fratelli. Nel 1950 nacquero i gemelli Mauro e Maria. Con l’aiuto di una tata e grazie all’apertura di un asilo nido dell’ONMI, che accolse i gemelli come primi iscritti nel 1951, Gemma riuscì a conciliare scuola e famiglia.

Nel ’58 ottenne il trasferimento a Pontedera nel rione Oltrera, quartiere periferico in rapido sviluppo dove vivevano famiglie di diverse fasce sociali. Al suo arrivo, la scuola, che era nuova, non aveva un nome e fu intitolata a Renato Fucini proprio su proposta di Gemma che, data la sua esperienza, fu chiamata a svolgere l’incarico di fiduciaria.

Mentre a Ponsacco aveva tenuto dalla classe prima alla quinta una sezione femminile di 34 alunne nate nel ’47, a Pontedera fu la volta di una classe mista di nati nel ’52. Che differenza con gli anni di scuola a San Vivaldo! Eppure, da quel luglio del ’44 erano passati solo una quindicina di anni. Erano le generazioni del dopoguerra, del “miracolo economico”, tante famiglie avevano lasciato le campagne e le colline dei dintorni perché i babbi avevano trovato lavoro alla Piaggio. Molte mamme lavoravano in confezione, negli ombrellifici o alla fabbrica di cucirini, altre a casa facevano le sarte, le magliaie o le aggiuntatrici. Gli autobus collegavano tutte le frazioni e portavano a Pontedera i ragazzi che frequentavano le scuole medie, gli istituti professionali e i licei, mentre il treno portava a Pisa o a Firenze gli studenti universitari.

Nel 1962 la famiglia si trasferì in una casa di nuova costruzione, in un appartamento più grande e comodo, acquistato nei pressi della stazione ferroviaria in via M. Fiorentini 22, mentre Alberto continuò la sua attività in via Roma fino all’alluvione del 1966. L’ultima scuola elementare dove si trasferì la maestra Gemma nel 1963 fu la scuola De Amicis, più vicina alla nuova abitazione, nel rione dei villaggi: quello Piaggio e quello comunale. Vi insegnò fino al 1977 anno del suo pensionamento.

In quegli anni terminarono gli studi i figli che cominciarono a lavorare e a rendersi presto autonomi; per mamma Gemma era l’obiettivo prioritario dato che Alberto aveva quasii settanta anni. Le figlie seguirono la sua strada come insegnanti elementari mentre Mauro, dopo il servizio militare, divenne impiegato postale.

Nel 1975 Gemma divenne nonna: Fabrizio, che poi sarebbe restato il suo unico nipote, nacque a giugno da Maria che si era nel frattempo sposata con Cesare Falchi. Solo pochi mesi dopo questo lieto evento, perse il marito Alberto

La vicinanza dei figli non le mancò mai, nonostante ciascuno di loro si fosse creato una vita propria. Lasciata la casa di via M. Fiorentini a Pontedera, ha vissuto per pochi mesi a Fornacette, vicino alla figlia Maria, dove è morta il 22 giugno 1987. È sepolta assieme al marito Alberto Ragoni nel Cimitero della Misericordia di Pontedera.

La Scuola “Gemma Cecchi”

A Gemma è stata intitolata, il 16 aprile del 2016, la Scuola dell'Infanzia di Montaione in via Matteotti 1.

Fotografie


1. Il diario di Gemma., nell'Archio Diaristico Nazionale.
2. Il diario di Gemma Cecchi., a cura di Rino Salvestrini.
3. Montaione al tempo dell’ultima guerra., a cura di Rino Salvestrini.
4. Le donne nella storia di Montaione, a cura di Rino Salvestrini.
5. S. Vivaldo. Il beato, il convento, i frati , la frazione, di Rino Salvestrini.
6. Personaggi nella storia della Valdelsa, di Rino Salvestrini.
7. Personaggi nella storia di Montaione, di Rino Salvestrini.


Ringraziamenti

I figli di Gemma ringraziano:

Il Diario

Come dice Rino Salvestrini in Personaggi nella storia di Montaione:

Gemma era a San Vivaldo al momento del passaggio del fronte e scrisse un interessante diario facendo la cronaca dei primi venti giorni di luglio del 1944. La sera prima di dormire riempiva il suo quadernino con i fatti del giorno annotando anche le sue considerazioni. Venti giorni e venti pagine di storia, ma anche un quadretto di una piccola comunità in un grande evento, scritto con semplicit e toccante umanità.

Riportiamo qui di seguito il Diario come trascritto da Rino Salvestrini. Lo stesso è disponibile anche in PDF Il Diario compare in Montaione al tempo della guerra sempre di Rino Salvestrini.

Il Diario di Gemma Cecchi

Introduzione

Per inquadrare nella sua giusta cornice la storia di queste giornate di luglio, che resteranno memorabili, bisogna prima riepilogare gli avvenimenti della guerra che interessano il nostro paese e specialmente gli ultimi giorni di giugno.

Già dal giorno 16 avevamo avuto la visita di alcuni camion tedeschi e molti ne passavano, soldati che andavano, che tornavano dal fronte, sempre più vicino, l'attesa delle truppe anglo-americane si era fatta più intensa; negli animi cresceva l'ansia per cercare un rifugio in caso di pericolo, per mettere al sicuro la roba.

Niente però di allarmante: qualche ruberia di soldati fermi qua e là, rombo di aeroplani nel cielo sempre più limpido, notizie di avanzate alla radio, strepitìo di autocarri nella notte, ma poi ferveva ancora la vita e il lavoro; quando col primo rombo di cannone udito di lontano tutto è cambiato: non più il ritmo sereno delle opere, ma l'accelerato ritmo della guerra vicina.

29 giorno di S. Pietro e Paolo, non dolcezza di festa, ma tensione quasi spasmodica di una vigilia d'angoscia. Arrivo di colonne, battaglia a Volterra, echi di scoppi lontani e ognuno si prepara e ogni cuore trema e viene l'alba del 30 mentre nei campi il grano dondola la spiga d'oro e promette il pane, la voce del cannone annunzia morte, rovina, distruzione. Non sarà questo il diario degli avvenimenti bellici, ma il riflettersi di questi sul nostro villaggio e soprattutto nella nostra comunità formata di persone diverse per censo e per età, ma tutte unite in un costante desiderio di pace e di liberazione.

1 luglio - sabato

Arrivano i tedeschi a S. Vivaldo: andirivieni di autocarri, grida rauche nelle odiose lingue straniere, confusione nelle case. Un quadro: partono i ragazzi da casa Ogna, Oreste Nardi guida il carro che ha un pittoresco carico: sacchi e fiaschi, materassi e balocchi, sopra quattro bambini felici della novità, alla martinicca Arfaioli che parte come guardia del corpo e dietro le altre donne; la Mimmj scherza rumorosamente per celare un po' di tristezza, la signora pensa a lasciare i suoi bimbi.

La casa dei Rogli accoglie tutti nella sua rustica semplicità "Non sarà poi brutto star qua" par che dica a tutti l'acqua che scorre. "Sarete sicuri" dicono i poggi che circondano la casa, ragazzi e grandi vi restano tranquilli. Nel carro vuoto che si riporta indietro si pensa in silenzio. A S. Vivaldo novità sempre più antipatiche: una squadra di mongoli brutali compiono prepotenze e soprusi, lanciano oltraggi alle donne e filano da casa Filippi perché un tedesco è accorso in difesa delle signore. Al dott. Venturi3 hanno portato via la macchina con minacce e modi villani. Si giunge a sera, manca la corrente elettrica, tace la radio, poi si fa notte e ciascuno si chiede "E domani?".

2 luglio - domenica

Ancora soldati e munizioni a Monte Oliveto, nelle prime ore del mattino una voce che allarma "Un camion è giunto a Soiano e nei Rogli i tedeschi hanno svaligiato le case".

Ma la verità è invece semplice, un conducente ha sbagliato strada e si è fermato per chiedere informazioni. Si sa la fantasia lavora e così nascono le chiacchiere che fanno ancor più paura. Domenica.....ma chi lo sa? In chiesa tre persone sole, però col cuore si prega.

Nel bosco intanto si lavora, sorgono capanni, si scavano gallerie. La battaglia è più vicina. Serata magnifica, ma intorno alla villa sul marciapiede soldati tedeschi dormono, la sentinella fa udire il suo passo cadenzato. È uno stellato di paradiso.

3 luglio - lunedì

Che nottata! Ci siamo svegliati di soprassalto, alcuni ufficiali tedeschi tempestavano di colpi la porta, si è dovuto in fretta preparar loro le camere, c' è fra essi pure un colonnello. In paese fermento e agitazione, ma sembra che un unico filo sorregga tutti, sembra che un coraggio superiore dia forza di resistere e questo è la presenza dell'avvocato. Se lui non ci fosse il paese sarebbe deserto, egli vuole che i suoi uomini sappiano attendere l'ora, dispone per i bimbi e per i vecchi, quando si vede passare per la via autoritario e sereno una speranza si accende nei cuori.

Diamo uno sguardo alla villa mentre ospita il comando: il colonnello dorme, gli ufficiali suonano il piano e strepitano; gli attendenti e qualche sottufficiale girellano per la cucina, mangiucchiano e fumano, è una confusione di divise diverse e di abiti quasi borghesi, un intrecciarsi di frasi miste di tedesco, francese, italiano e spesso si sente il ritornello "Uff.....cric (guerra che barba)".

Corre pure qualche parola che chiamerebbe uno schiaffo, qualche strillo da villano e un incessante sbattere di porte. Ah, la disciplina del soldato tedesco! Stasera questi partono, ma già un comando ha fissato le camere e posto il cartello "Hesse" (strana parola che non si sa ciò che significhi, ma certo una cosa importante); sappiamo che giungerà pure un generale. Dio ce la mandi buona! Stamani anche la signora Olimpia è andata ai Rogli; là quasi un accampamento, ma tutto prosegue in ordine. Per S, Vivaldo fino a sera confusione di tedeschi, tristezza nelle case quasi deserte; sorge la luna!

4 luglio - martedì

Una brutta sorpresa: i depositi dell'acqua sono stati forzati, i signori tedeschi, amanti della pulizia, si sono lavati nelle pile da cui viene distribuita l'acqua nei condotti dei diversi paesi. Come se questo non bastasse si mettono nudi sulla strada, nel chiostro del convento, ovunque trovano un pozzo, una fonte, senza alcun ritegno, senza rispetto per luoghi e persone.

Il comando che doveva giungere non è venuto, sono passati alcuni motociclisti anzi a domandare notizia, fra questi tre brutti ceffi dalle facce di delinquenti e di modi volgari. Oggi un po' più di calma, ma ieri che giornata! Quanti disastri e danni si contano. Forse dava noia quel bel melo con i frutti acerbi che l'hanno straziato senza pietà? Non c'erano altre fronde per tappare gli autocarri senza sciupare gli ulivi? Perché accanirsi con queste povere piante se la frutta non è matura?

Si ascoltano le varie voci: chi si lamenta, chi brontola, chi manda anche qualche benedizione a chi è la causa di questa situazione. A Volterra il Mastio è stato colpito, passa qualche ergastolano fuggito "Avevo da fare venti anni di galera, ma sono una persona per bene" dice uno e così c'è sempre qualche nota comica. Nelle case i tedeschi rimasti vogliono mangiare e bere e noi siamo senza acqua, manca la corrente elettrica e queste giornate di ansiosa attesa sono lunghe a passare!

5 luglio – mercoledì

Giornata tranquilla. I contadini possono pensare un poco al raccolto che soffre nei campi. Un episodio di cronaca: ai Ciulli verso la Sughera tre tedeschi, certo i brutti musi d'ieri, hanno preso e portato via una ragazza, dopo averla maltrattata l'hanno abbandonata a Monte Oliveto, di lì si è rifugiata dai frati che l'hanno fatta accompagnare. Il fatto non ha bisogno di commento. La voce del cannone è sempre più vicina, l'accompagna spesso lo strepitio della mitraglia.

Nelle case dei contadini più lontani dai paesi la gente si accalca nelle capanne, nei granai dormono innumerevoli persone. La serata è quieta, qui nel viale pochi soldati, detta territoriale, fanno la guardia alle munizioni, sono brava gente, quasi tutti anziani stufi della guerra, rispettosi e taciturni sorridono e fanno vedere i ritratti dei loro piccoli, ci mostrano con orgoglio le floride spose in abiti di festa, i biondi Franz e le paffutelle Ingrid e Lottie dalle treccine strinte. Mi viene a mente Giusti:

Povera gente lontana dai suoi
un paese qui che le vuol male
giuoco che l'hanno presa in tasca come noi
e manda a quel paese il principale

6 luglio - giovedì

Sono venuti i signori Massagli e hanno raccontato la loro triste avventura: è stato loro imposto col fucile mitragliatore alla gola di consegnare una macchina sognata dalla stupida fantasia di soldati tedeschi malvagi, tre cartucce vuote del fucile da caccia del Calci hanno dato lo spunto per una perquisizione, hanno detto loro, ruberia diciamo noi. Povera gente oltre allo spavento provato bisogna pensare che già per la seconda volta restano privi di ogni loro avere, poiché in Africa hanno dovuto abbandonare ogni cosa. Come è triste perdere le cose che abbiamo care, tutto ciò che ha rappresentato per noi lavoro e sacrificio, conquista e soddisfazione.

Mentre tristi cose succedevano, stasera abbiamo concerto. Un soldato tedesco ex artista di teatro, ha voluto dare spettacolo, il pubblico era composto di molti camerati e dalla nostra compagnia. Veramente egli era bravo, le parole della canzone "Santa Lucia" vibravano nell'aria, la luna illuminava i boschi e la voce cupa del cannone accompagnava tutto lugubremente.

Ad un tratto una frase in sordina ripetuta fra noi "I colpi del cannone arrivano a Villamagna", come un senso di gelo si diffonde, ma un tedesco già brillo fa i gattini dietro le spalle della signora Beppa e poi un coro monotono e lento come una marcia funebre. Siamo stufi, si ha sonno, si vuol essere soli a pensare, ma è tardi ormai quando finalmente si decidono ad andarsene.

7 luglio - venerdì

Stanotte è arrivata un'autoblinda con 4 soldati che c'erano già l'altro giorno, pioveva a dirotto, hanno chiesto alloggio, ma sono stati educati e tranquilli. Quelli però che sono alla Casa Nuova sono brutta gente, hanno sfondato in tabaccaia le botti, hanno preso quello in balle perché certo pensavano trattarsi del tabacco più fino, ma troveranno lo scarto, è un tiro che si meritano.

I colpi arrivano alla Bella, nei poderi del signor Giuseppe; a Jano nelle case abbandonate stanno padroni i tedeschi.

Il fronte ormai è vicinissimo, gli anglo americani sono poco distante ormai, questi giorni che dovremo passare saranno terribili, nel bosco ci sono coloro che attendono il momento opportuno, vigili sentinelle all'erta, animi e cuori pronti a balzare innanzi perché la liberazione sia completa, perché la pace sia sicura.

Questi agiscono nell'ombra , ma anche la loro opera segnerà pagine di storia.

8 luglio – sabato

Stamani sono tornata dopo tanti giorni a vedere la mia scuola: avrei pianto nell'osservare lo stato in cui l'hanno lasciata i tedeschi che ci furono l'altra notte. Non credo di riuscire con le parole a darne idea esatta: in terra paglia sporca ammonticata, i banchi formano un unico tavolo ingombro di avanzi, di sudiciume, tutto sotto sopra, tutto ingombro, tutto buttato all'aria. Povera scuola! Ci tenevo tanto perché fosse sempre in ordine e linda, le volevo tanto bene, dopo cinque anni in cui vi avevo trascorso le ore del lavoro.

Come i tedeschi rispettano i luoghi pubblici. Ecco la loro civiltà! È stata una giornata molto quieta, ma forse questo è un brutto presagio. Come sarà domani? Alle nove chiusi in casa, c'è il coprifuoco, al buio si medita e si aspetta.

9 luglio - domenica

Era vero: dopo la quiete la tempesta.

Notte di confusione questa. Ieri sera ci apparì dinanzi un soldato mezzo brillo, con una bomba a mano forse per vedere se la casa era vuota e comoda per rubare. Stanotte un continuo girellìo di tedeschi e non trovando altro si sono contentati di portar via la cuccia di Birilli. Stamani qui in villa ufficiali che dormono, in salone un posto di primo soccorso. Oggi si parte per i Rogli.

Piove a dirotto, lascio il paese con i bimbi Venturi e mi si empiono gli occhi di lacrime. Addio S. Vivaldo, piccolo villaggio già tanto sereno, addio care stanzette dove ho sognato e lavorato in silenzio, addio scuoletta mia, dove entravo ogni giorno con gioia, addio cara chiesa fra il verde; vi rivedrò come vi lascio?

Arrivo ai Rogli e un po'di speranza mi entra nel cuore, sono giunti l'avvocato, la signora e il dottore con tutta la famiglia, si scherza fra noi giovani, si dorme accampati sulle brande e per terra. Poiché era presso Soiano, anche il signor Giacomo è sceso con noi. Com'è vicino il rombo del cannone, l'eco dei poggi lo fa più cupo.

10 luglio - lunedì

Bella mattinata di sole, uno scoppio tremendo vicino: Iano è colpito, arriva una donna ferita, Attilia Guerrieri, non è grave, ma impressiona vedere già gli effetti di questa guerra così vicini a noi. Da S. Vivaldo notizie vaghe ma per ora tutto pare che lassù proceda bene. Qui siamo già una sessantina circa di persone. Ma chi viene giù da Soiano? Due donne? No.... Stella e il priore Biasci: povero vecchio, mancava anche lui. L'avvocato l'accoglie come sempre generoso e gentile, noi si saluta con una risata a stento repressa.

Si arriva a buio quasi senza accorgersene, si cena e poi intorno alla tavola si scherza e si ride, gli scoppi sono sempre più intensi, a un tratto l'avvocato ordina: "Si va in rifugio! Si spezza il riso sulle labbra e ci si avvia nella notte verso la caverna che ci salverà.

11 luglio - martedì

Siamo stati fino alle 2 del mattino in rifugio. Veramente è ben fatto e sicuro, una grotta scavata nel masso, comoda e ben riparata. Entriamoci insieme: sui materassi i bimbi dormono tranquilli, le vecchiette, le persone serie, sono sedute paludate nelle coperte, il priore prega, fra i giovani corre qualche parola di scherzo, qualcuno tenta di addormentarsi e piano piano tutti ci si adagia nelle pose più strambe e più scomode, chi ha addirittura il capo sui piedi di quello che sta sopra, e così succede che basta una mezza parola, un russare più forte per far ridere, però a poco a poco si fa silenzio.

La scena è suggestiva, rischiarata dalla fioca luce della lanterna, si sente qualche batter di chicchi di corona e soprattutto gli scoppi ripetuti delle cannonate.

Quando tutto è sembrato più calmo siamo tornati a letto, ma nella mattinata il cannone ha tuonato di nuovo vicino, ha colpito il rifugio di Talentino, arrivano feriti, due leggeri, Ardelia gravemente. Dietro di essi donne e ragazzi della Collina e di Iano, impauriti, si accampano sotto la loggia. È uno spettacolo triste, sembra un bivacco di zingari. Notizie da S. Vivaldo e dall'Uccelliera, tedeschi nelle nostre case, sciupìo di roba e arruffìo di masserizie.

Mi si stringe il cuore e come a me a tutti. Le nostre cose care nelle mani degli odiosi stranieri, i piccoli oggetti senza valore, ma dolci per un ricordo, per un segreto affetto, sciupati, stragiati dalla soldataglia, piccoli lavori fatti con amore e sacrificio, utensili e mobili comprati a furia di risparmi e economie, tutto rovinato, tutto preso da quei cani. E poi? Queste persone ancora sono lassù.

12 luglio - mercoledì

Tutta la notte in rifugio, lì vicino abbiamo pure mangiato. Da S. Vivaldo ancora brutte notizie, il cannone tuona,alcuni sono piazzati al Sapito, al Marrado, in altri luoghi, granate scoppiate nei campi del Cappellini, sono giunte ancora altre persone. Tutti abbiamo le facce serie della tristezza e della preoccupazione; qualcuno di noi cela i pensieri dietro qualche più rumorosa risata, ma tutti si vive male in questa situazione.

Sul tardi arriva il fattore, basta vederlo per vedere subito che porta qualche novità ancora più brutta? Parla a lungo con l'avvocato, dopo sappiamo che i tedeschi minano il paese. Ci guardiamo l'uno con l'altro dolorosamente stupiti. Il fattore riparte dopo poco e torna lassù nel rifugio vicino al pericolo. Le sue parole hanno lasciato tutti tristi e abbattuti.

13 luglio - giovedì

Gosto e altri volevano andare in paese, ma a Vignale hanno saputo ancora cose più brutte. Il guardia, Amedeo e i due Quartini, sono stati presi dai tedeschi e rilasciati dopo aver consegnati molti denari. Mattinata di sole stupenda, il cannone stamani riposa, passa qualche ricognitore nel cielo sereno. Qui siamo già un centinaio di persone, ammucchiati in capanna, sotto la loggia, ovunque è possibile.

Io penso: sono così belle le nostre campagne, ci danno ricchezza di messi, sono così sereni i nostri paesetti toscani ed ecco che l'odioso straniero ci sciupa i raccolti, ci devasta le terre, ci toglie il tetto. Signore tu hai permesso questo, dacci la forza e la pazienza di sopportare queste terribili prove.

Notizie ancora da S. Vivaldo le porta il fattore quasi all'ora di cena: l'avventura del Lepri non si sa come sia finita. Picchiato dai tedeschi è fuggito, gli hanno sparato dietro e poi nessuno l'ha più visto. Forse ferito, forse morto. Tutti ci stringiamo intorno a chi viene per domandare dettagli e schiarimenti.

Conoscendo le ultime notizie viviamo l'agonia del nostro paese e soffriamo, ma vogliamo sapere, siamo avidi di sapere.

Tutto quieto, chi vuole può dormire in casa. Io scelgo subito questo partito insieme ad altre persone che come me desiderano finalmente di stendersi e di dormire.. Buonanotte!

14 luglio - venerdì

Neanche stanotte si è potuto fare a meno di andare al rifugio, due scoppi più forti ci hanno svegliato di soprassalto, non cannonate però, ma mine che hanno fatto saltare il ponte di Camporena e alcune case a S. Vivaldo, fra le quali quella della signorina Beppa. Stamani Ornello è andato in ricognizione ed ha portato queste novità. Una cosa stupenda è l'organizzazione di informazioni e di guardia che ha disposto l'avvocato in questo quasi accampamento. In pochi minuti egli riesce a sapere ciò che è successo; intorno a lui i giovani lavorano volentieri e lo seguono e l'obbediscono perché sanno che egli vuole veramente ciò che è bene per il suo popolo.

Ulderigo Fondelli, cioè il Lepri, è stato trovato morto vicino alla segheria con due pallottole nella fronte. Ecco la crudeltà dei tedeschi, uccidono così senza ragione, ora è rimasta senza capo una famiglia, è stata troncata la vita a un uomo ancor giovane. Dispiace a tutti, perché nelle nostre piccole frazioni ci sentiamo tutti uniti, ci vogliamo bene e il lutto di uno è il lutto di tutti. Riposa in pace, povero Lepri, in tutti i veri italiani è la ferma volontà di vendicare le vittime dell'odioso straniero.

Il cannone non si sente molto, ma già si avvistano dai poggi lontani le colonne inglesi. Siamo quasi a sera, chi sa se ancora dovrò aggiungere qualche cosa.

Ore 8: gli anglo americani sono arrivati a Jano, la popolazione che ha avuto il piacere d'incontrarli li ha accolti con gioia e tutti noi pure attendiamo con ansia il momento di vedere le case del nostro paese. Certo anche essi sono stranieri, ma in mano a quei cani tedeschi non ci saremo più. Perché tutti con feste accogliamo questi che arrivano come liberatori? Perché siamo stufi della cattiveria, della tracotanza dei tedeschi, infine "perché c'è l'odio che mai non avvicina il popolo italiano all'alemanno".

15 luglio - sabato

Oggi è stata una giornata così densa di avvenimenti ed io mi accingo a descriverli col timore che la mia povera penna non riesca a renderli in maniera degna, tanto forti sono state le emozioni provate. Arfaioli è tornato da Jano, dove si era recato in ricognizione nelle prime ore del mattino e ci ha narrato il suo incontro con gli americani.

Giunti con carri armati, autoblinde e camionette fanno stupire la popolazione per la potenza dei loro mezzi, per la loro baldanza di conquistatori resa simpatica dal loro fare cameratesco che usano con tutti e anche da una certa dose di quell'umorismo americano che abbiamo conosciuto nelle pellicole e nei libri.

Hanno già impiantato l'ospedaletto a Jano, lì sono stati trasportati i nostri feriti che dovranno essere condotti in ospedale. Arfaioli ha parlato con l'interprete: una pattuglia, gli è stato detto, era già partita per raggiungere il Marrado e S. Vivaldo passando dal Pian delle Querce, in testa per insegnare la strada c'era il Tarabori.

Vorrei, raccontando ciò che ha detto l'Arfaioli, poter far capire l'entusiasmo che è in tutti coloro che vedono finalmente i soldati americani e nel pomeriggio questa soddisfazione l'abbiamo avuta anche noi. Sono venuti quattro sopra una camionetta fin qua nei Rogli, cercavano la via per raggiungere alcuni poderi nei pressi di Castelfalfi, due sono discesi e Salvatore e Arfaioli sono andati al loro posto, hanno insegnato i luoghi e assistito al rimuovere di diverse mine.

Nel frattempo noi che avevamo accolto l'arrivo con fiori e battiti di mano, ci siamo intrattenuti con gli americani con l'aiuto del poliglotta. Erano due giovanottoni biondi, ben equipaggiati e dalle facce aperte, hanno accarezzato i piccoli, hanno offerto sigarette, dolci, tornati gli altri hanno accettato un pezzetto di pane e prosciutto e un po' di vino, poi se ne sono andati. Quale avvenimento per una plaga così deserta come quella dei Rogli, dove giunge raramente qualche persona! Chi l'avrebbe detto che avrebbe visto l'arrivo di una pattuglia americana.

Verso Castelfalfi colpi di cannone e bombe di apparecchi che volano a bassa quota e sembrano sfiorare il tetto della nostra casa e le cime degli alberi. Si seguita a chiacchierare di tutto ciò fino a che non arriva l'avvocato e ci porta da S. Vivaldo le ultime notizie.

In paese un senso di desolazione, ha detto, prende il cuore; Gosto ha pianto sulle macerie della sua abitazione; di casa Filippi due stanze ancora in piedi mostrano l'interno e a una parete l'immagine di una Madonna guarda tanta rovina; le case attigue pure sono cadute fino alla bottega di Mauro; in qua e là ancora stragi e sciupìo; porte divelte, finestre spezzate, tetti smozzicati, piante tagliate, strade interrotte e resti di scempio e di distruzione. Così fino al Marrado, i depositi dell'acqua sono saltati, l'Uccelliera è stata buttata all'aria dalla prima all'ultima stanza. Solo oasi di pace è rimasto il convento dove hanno trovato rifugio anche alcune persone, fra queste la signora Pucci la cui avventura è degna di essere narrata.

Quando tutti, specialmente le donne, avevano abbandonato il paese, lei intrepida è rimasta a sfidare il destino; diversi tedeschi le sono entrati in casa di prepotenza, poiché lei non intendeva aprire nemmeno la porta, sospettata di spionaggio è stata condotta alla villa dove era il comando e tenuta là una notte.

Al mattino, derubata di tutti i denari si è dovuta rifugiare dai frati; quindi anche la sua casa è saltata in aria. Triste, anzi dolorosa storia ma, Dio santo, l'ha quasi voluta col suo contegno provocatore.

S'intende sprezzare il pericolo, ma quando il dovere lo impone o quando l'impavidità giova a qualcuno.

Sempre l'avvocato ci segnala i Mimmi e il Bulla, ragazzi che uniscono a una buona dose di curiosità uno spirito audace, hanno girellato dappertutto, però con prudenza e agilità, hanno aiutato a salvare la roba di tutti, hanno cercato e trovato il cadavere del Lepri, insomma hanno vissuto le più terribili ore di S. Vivaldo.

Mentre l'avvocato con Gosto era nella via del ritorno, ha incontrato una colonna americana che non poteva passare per l'interruzione del ponte di Camporena, avute le indicazioni un carro armato ha fatto da sé la strada del broto del Rotone e procedendo a passo per togliere le mine sono giunti al principio del paese, dove gli altri uomini sono venuti incontro per seguitare ad insegnare i luoghi dove sono le mine e le case dove sono state poste le cassette di gelatina che verranno rimosse.

Anche i partigiani escono dall'ombra dove hanno sofferto e atteso il momento, ora si tratta di prendere in trappola quei 4 o 5 tedeschi che ancora sono nascosti, non si sa se per le segnalazioni ai camerati appostati verso Pozzolo o per darsi prigionieri al momento buono.

Domani sapremo come va a finire.

Un'altra cosa ci narra ancora l'avvocato e questa ci fa fremere di sdegno: come leoni i tedeschi hanno assaltato, ma come sciacalli, alcuni italiani (però questo nome non lo meritano) hanno scelto fra i resti ciò che di buono c'era ancora, approfittandosi dei disgraziati che non hanno potuto sorvegliare le loro case.

Il racconto di queste cose è stato lungo, l'abbiamo ascoltato a bocca aperta, i ragazzi fremendo dal desiderio di andare lassù a vedere da vicino, noi quasi con le lacrime agli occhi pensando a tutte queste tristezze restate in ricordo del passaggio dei tedeschi.

Siamo ancora nei Rogli, ma col cuore al nostro paese, dove tutti abbiamo qualche cosa che ci chiama: chi le memorie più dolci e più tristi di tutta la vita, chi la casa amata e curata, chi gli affetti e i sogni, i pensieri più cari, tutti pensiamo a tornare lassù e un'ansia ci stringe il cuore, esserci portati in volo dal desiderio ardente.

Credo di avere solo raccontato le cose come in un diario di bimbi, vorrei trasfondere in queste pagine ciò che sento, ciò che provo, ma non ci riesco, posso dire soltanto che una gran commozione, nel rievocare, mi serra la gola e suggello la storia in questo giorno con una lacrima venuta sincera dal profondo del cuore.

16 luglio - domenica

Stamani l'avvocato, con il dottore e questi giovani, si è recato a S. Vivaldo per vedere cosa era successo da ieri, ma ha fatto ritorno assai presto perché in paese non era stato possibile entrare dato che vi arrivavano i colpi del cannone; intorno ci sono le autoblinde e carri armati americani.

Con alcuni di quei soldati hanno parlato e tornando, ci hanno fatto stupire raccontando come sono ben forniti di ogni cosa. Vicini alle truppe di occupazione sono pure i partigiani e i giovani del paese che erano alla macchia.

Durante tutta la giornata fischi di granata verso S. Vivaldo, sono andata sul poggio per vedere qualche cosa del nostro caro villaggio: dei cipressi qualcuno manca, dove le case sono crollate appaiono buche nere. Tutto questo fa effetto specialmente se si pensa alle famiglie rimaste senza tetto. Fino a buio rari scoppi di granate poi tutto tace. La notte è scesa, sono sul terrazzino, guardo lontano, il cielo è uno splendore, il bosco fa udire le molteplici voci delle fronde e degli insetti, tutto è così quieto, tutto è così bello; perché uomini così cattivi diventano bruti e si dilaniano fra loro?

La guerra è sempre esistita da quando c'è il mondo, ma nessun popolo è stato così feroce come il tedesco. Mi scuote da questa meditazione un rombo più forte, dove cadrà la granata?

Proteggi, o Signore le nostre case, le care genti; con questa preghiera si chiudon gli occhi al sonno.

17 luglio - lunedì

Una notizia: la chiesa del convento è stata colpita. Sì, è vero, restano tante famiglie in mezzo alla strada e il danno alla Casa del Signore forse non è fra i più gravi, ma pure ciò ha fatto dispiacere.

Ricordo una poesia dove Papa Sarto parla con la Madonna, è in dialetto veneto, ma la riporto ugualmente:

Gnanca le ciese no xe più sicure
le nostre ciese più sante e più bele
dove el batesimo ga le creature,
dove se spose le nostre putele;
le nostre povere, picole ciese
piene di fiori nel mese di magio,
che, a star lontani dal nostro paese,
se se ghe pense, ne torna el coragio,
ben fin le ciese sti sporchi ne spaca
coi suoi cannoni che Dio maledissa.

Questi versi esprimono meglio di ogni commento ciò che sentiamo per la nostra chiesa.

Oggi nel pomeriggio son passate diverse autoblinde e camionette con soldati americani che si recavano a togliere le mine verso Castelfalfi, per indicare la strada è andato con loro Arfaioli, uno di essi gli ha offerto pure una sigaretta, ma quando dopo circa 3/4 d'ora sono tornati di quello stesso soldato non c'erano che alcuni brandelli di carne rinvolti in un telo.

Il fatto si era svolto così: mentre toglieva una mina questa era scoppiata e colpito in pieno non era stato raccolto che a pezzi. I compagni costernati sono ripassati col resto del caduto, e la camionetta sulla quale egli era salito pieno di baldanza si era trasformata in un lugubre carro mortuario. Ciò ci è stato raccontato da Arfaioli il quale da questa cosa era rimasto molto impressionato e così pure noi nell'ascoltare. Un atto malvagio dei tedeschi. Gambut, cane da penna, è stato ferito in un piede da una rivolverata, stasera è stato condotto qua. Anche le bestie davano noia. Oggi il cannone rombava verso Montaione.

18 luglio - martedì

Stamani la Signora è andata a S. Vivaldo e tornando ha descritto le condizioni in cui ha trovato la villa. Una granata ha rovinato il tetto e due stanze, unaltra scoppiata nel pozzo nero ha colorato e profumato i gabinetti; altre sul viale, nell'orto e fra le piante e in mezzo a tanta rovina i gladioli sono sbocciati in un magnificenza di tinte e la frutta matura fa bella mostra di sé. La vita trionfa sulla distruzione?

A Montaione le cannonate d'ieri hanno colpito molte case e fatto pure diverse vittime. Non è comprensibile come mai un paese così fuori di strada sia servito di bersaglio. Qua tutto è calmo, però a S. Vivaldo c'è molto passaggio di truppe e si sente sempre parlare solo dei disastri fatti dai tedeschi.

19 luglio - mercoledì

Dopo la confusione dei giorni passati questa calma dà al cuore un senso di serenità. Tutti tornano a casa, sono partiti i signori Massagli, il dott. Venturi e anche il priore, un po'alla volta ce ne andremo tutti e il Roglio non sentirà più tante voci, non vedrà più tante persone, ma in cuore di noi che abbiamo trascorso presso le sue sponde le ore più tragiche del nostro villaggio resterà il ricordo di questo luogo unito ad un pensiero di riconoscenza per l'avvocato.

Stasera non ho cose importanti da raccontare perché il cannone romba ormai più lontano, i soldati americani passano e ripassano per le nostre strade, domani scriverò le impressioni provate nel rivedere S. Vivaldo e intanto, da queste pagine saluto i Rogli e ringrazio l'avvocato pure per tutti coloro che, come me, hanno goduto della sua ospitalità.

20 luglio - giovedì

Eccomi a casa, vorrei avere la penna di uno dei grandi scrittori per poter degnamente mettere sulla carta ciò che ho provato nel vedere l'opera dei tedeschi. La prima cosa che si presenta al nostro sguardo sono i cipressi rimasti, di sotto al ciglione i tronchi poderosi, nella polvere le chiome che spandevano l'ombra e celavano i nidi canori, ma ecco spettacolo ancora più triste, il cumulo di macerie che restano della casa di Gosto, in piedi è restata una parte dei forni da tabacco annerita dal fumo, appare fra i sassi e le travi spezzate qualche pezzo di mobile, qualche oggetto rovinato e inservibile, lì presso anche la fattoria è assai rovinata.

Fino in piazza grandi disastri non ce ne sono, c'è un buco sul tetto della segheria, ma Dio ha salvato il mulino e la macchina a vapore perché il popolo che soffre abbia il pane; gli usci sgangherati, le finestre senza vetri, le buche nei muri preparate per le mine non ci sembrano neppure da notare quando si arriva al luogo dove sorgevano la casa della signora Pucci e il palazzo Filippi, che essendo la costruzione più alta e più imponente faceva più bello il paese dandogli una nota di signorilità.

Ricordo quella casa che era grande e comoda, portava nella disposizione delle stanze, nel numero di esse, l'impronta inconfondibile del secolo passato, la torretta, le finestre con l'arco la facevano bella, pareva fra le case operaie e coloniche che le stavano accanto, una principessa fra le ancelle; oggi non c'è di essa che un cumulo di macerie e domani? Forse lì sorgerà una villettina moderna e civettuola, ma non sarà più il palazzo Filippi, caro al cuore di tutti i paesani.

Della villa ho già parlato, ma in sala ho visto oggi i segni del combattimento svoltosi il giorno 15 fra i tedeschi rinchiusi nella sala chiara e i partigiani con gli americani: un vetro spezzato nel buffet e buchi di pallottole nel muro restano a ricordo.

La volta della prima navata della chiesa è crollata completamente, l'artistico S. Sebastiano è in pezzi, anche la statua di S. Agnese e di S. Antonio sono mutilate, ma le cannonate, si sa, è la guerra che le porta come inevitabile doloroso retaggio; ciò però che desta indignazione è lo scempio fatto dai tedeschi dentro le case, sembra l'opera di selvaggi o di matti.

Già quasi tutte le case sono state rimesse un po' in ordine, ma come ho trovato la scuola e le mie stanzette è bastato a darmi un'idea di cosa quei barbari hanno fatto. Fino i libri e i quaderni spezzati pagina per pagina, il gesso schiacciato sotto i piedi e l'inchiostro versato da per tutto, il sudiciume è sparso ovunque. Bisogna sentir raccontare come ognuno ha trovato la propria abitazione per avere ancora più chiara l'idea dell'inciviltà dei tedeschi.

Rivedendosi l'uno con l'altro ci si saluta come fossimo tornati da un lungo viaggio e si parla dei tristi giorni trascorsi con le lacrime agli occhi. È buio, sono nella mia stanzetta ancora spoglia e disadorna; domani ricomincerà la vita usuale e ormai credo di poter salutare anche questo diario.

Epilogo

luglio è finito, episodi notevoli da narrare nel nostro paese non ce ne sono più stati. Molti soldati americani sono accampati nei nostri boschi, sono bravi ragazzi gentili, sono tutti bene attrezzati e non disturbano.

Ogni tanto giungono notizie dai paesi lontani: i tedeschi compiono atti di vandalismo sempre più gravi e gli alleati avanzano liberando le popolazioni oppresse. Quassù tutto tende a tornare allo stato normale; ferve il lavoro nei campi, sulle aie, in mulino, perché il grano salvatoci dal Signore diventi pane affinché il popolo non sia affamato come ci auguravano i tedeschi. Se si parla fra noi, si ricordano i giorni tristi del dolore e chi ha vissuto nei pressi del paese quando le cannonate fischiavano sui tetti ed esplodevano le mine, soffre come rammentando un'agonia. Quasi tutti hanno perduto qualcosa, alcuni tutto il mobilio o le provviste, ma piano piano viene la rassegnazione e all'opera si torna sereni, perché pare che una voce dica al cuore: .......e lavorando il nido si rifarà.

Commiato

Ora basta, il mio compito è terminato, forse non ho saputo assolverlo, vorrei però che chi legge comprendesse che è scritto più con l'anima che colla penna e chiedo perciò anche se non piace, di non giudicarlo male, rimarrà sempre un caro ricordo.

 

Gemma Cecchi
S. Vivaldo 31 luglio 1944

Trascrizione di Rino Salvestrini

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